Quando Giacomo Borella mi ha raccontato per la prima volta la storia del progetto residenziale a Cinisello Balsamo, un comune della cintura a Nord di Milano, non ho potuto che provare stupore e ammirazione. Lo studio Albori, del quale Borella è uno dei tre asso ciati, si dedica da anni ad una ricerca approfondita sui modi dell’abitare e lo fa con uno spirito e una capacità d’innovazione che non trova riscontro nel panorama dell’architettura italiana. Secondo Albori la città contemporanea, nella sua incapacità di gestire oculatamente le risorse, offre innumerevoli occasioni di progettazione proprio negli spazi di risulta, nei vuoti urbani e addirittura nelle stesse strutture co struite quando queste non si rivelano più all’altezza delle prestazioni richieste. L’architettura sostenibile promossa e praticata da Almagioni, Borella e Riva è in questo senso vicina al concetto di “Terzo Paesaggio” di Gilles Clément secondo il quale l’attenzione dell’uomo dovrebbe finalmente indirizzarsi verso i luoghi dimenticati dal consumo irriguardoso del territorio, gli spazi interstiziali e quelli di confine. Tra i progetti recenti di Albori quello delle case di Cinisello Balsamo è uno dei più complessi, azzardati e per certi versi meno noti e pubblicati. Nato abbastanza casual mente dalla necessità di modificare la copertura di due grandi fabbricati di edilizia sociale, il progetto si è trasformato in un laboratorio di socialità nella misura in cui le istanze dei futuri occupanti sono state accolte e rielaborate in una proposta tipologica inedita. Gli autori mi perdoneranno se cito Cesare Zavattini e la sceneggiatura di “miracolo a Milano” per evocare l’allegria e la fantasmagoria che può scaturire da situazioni altrimenti considerate come dure, difficili e persino irrecuperabili. Sui tetti di Cinisello nasce dunque un esperimento sociale ed un esercizio di architettura sul tema del vivere in città. Trattandosi tecnicamente di un sopralzo, i materiali scelti hanno dovuto fare i conti con il peso e la facilità di assem blaggio in un contesto di cantiere non facile.
L’impiego diffuso del legno, specialmente negli ester ni come materiale di rivestimento, amplifica in questo caso le sensazioni di domesticità, di calore ma anche di “alterità” che il progetto comunica sottolineando la radicale differenza tra la vita che si svolge nei piani inferiori e quella che si articola al di sopra del vecchio filo di gronda. L’impiego della copertura come piatta forma architettonica nasce o comunque diviene mani festo con Le Corbusier (l’idea del tetto giardino ma anche delle forme libere al di sopra di un volume rigo roso) e qui, a distanza di tanti anni, trova nuova linfa e vigore. La vita sui tetti di Cinisello è una vita nuova perché presuppone l’accettazione di una sfida e la condivisione di un territorio letteralmente strappato ad una funzione statica per ospitarne un’altra decisa mente dinamica. Le assi di abete, la lamiera zincata, i comignoli e l’erba delle coperture orizzontali accettano di condividere l’esiguità dello spazio con i panni stesi, le sedie a sdraio ed i tavoli per mangiare all’aperto. Il legno, materia viva per eccellenza, combina la sua duttilità a delle prestazioni significative sia dal punto di vista tecnico che della durata. Il nuovo “miracolo a Milano” è quello di scoprire che l’architettura può rappresentare ancora un fattore decisivo nello svilup po della città e che lo può essere anche con risorse limitate.
L’appropriatezza delle scelte tecniche rispetto al con testo sociale ed economico è un fattore decisivo nella rincorsa che l’architettura italiana sta faticosamente compiendo rispetto agli standard fissati dai paesi cul turalmente più avanzati. Com’è evidente non si tratta solo di un progresso che riguarda l’uso ed il consumo delle risorse ma, soprattutto, della messa a punto di un lessico capace di contribuire in modo concreto alla qualità urbana nel suo complesso.