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Nunzio AVATON

Roma 2007

Roma 2007

Come ogni essere vivente il legno vuole aria: migliaia di piccole aste di legno grezzo intermezzano tavole di rovere accatastate, consentendogli respiro. Nunzio s’interessa ad un terzo paesaggio, a quella dimensione di mezzo, vista ripetutamente e scoperta per caso. Uno spazio ignorato e indispensabile. Lo stesso oggetto che singolarmente appare insignificante, di scarto, che suggerisce il proprio sfruttamento, viene sottratto alla sua funzione silenziosa per essere al servizio di una nuova intenzione. Alla sottrazione d’uso originario viene sostituito un impiego ben più raffinato ed impalpabile […]

Se il fascino di una scultura viene dato dalla nostra percezione armonica di masse in relazione, Nunzio invece organizza armonicamente volumi distinti, autonomi in fatto di dimensioni, forma e consistenza. Volumi assenti, di estetica ricercata perché nati ed esauritisi al servizio di una finalità specifica. Invece di sostenere altro, in Avaton tali legni sostengono se stessi, formando un corto circuito nel processo creativo. La struttura diventa un fine, nobilitando ciò che normalmente si liquida come accessorio […]

Incontrando l’opera nel suo spazio, spazio per il quale è nata, si ha la costante sensazione d’essere osservati. Non c’è luogo di rifugio. Impossibile sorprendere la scultura da un lato morto, coglierla di sorpresa. Il muro eretto a semicerchio sembra offrirci due vite, da prima contemplativa, successivamente di penetrazione (fallita). Avaton non si penetra, bensì ci penetra. La celebrazione di un luogo impraticabile, un tempio vietato ai profani. Una miriade di frecce tengono sotto tiro lo spettatore, seguendone i movimenti. Paradossalmente, un corpo così presente, vigile e carico di tensione drammatica non vive di vita propria, ma è la presenza stessa dello spettatore a definirlo. A seconda dei suoi spostamenti, l’opera altera la sua trasparenza, ridefinendo ripetutamente la nostra sensazione di pieno e di vuoto. Non esiste un punto d’osservazione ideale, non esiste di conseguenza una percezione più reale delle altre. Avaton si trasforma sotto ai nostri occhi da muro in qualcosa che muro non è. “La scultura lavora con la luce che la plasma”, dice Nunzio. Guardando dal fuoco di un ideale cerchio accennato dall’opera, si ottiene la sua massima trasparenza. Il muro diventa griglia, facendoci perdere la percezione di spessore, peso e consistenza. Al nostro passaggio i fori si chiudono, il semicerchio si raddrizza, lasciando nelle mani dello spettatore il mistero di una realtà svanita. Una realtà fortemente umana, fatta di cambiamenti di umori, perdita di equilibri e improvvisi stridori […]

Avaton, legno combusto, Galleria dell’Oca, Roma

Fotografie

Claudio Abate

Passaggi tratti da: F. Stocchi, Simultaneità, in Nunzio, Avaton, Edizioni Galleria dell’Oca, Roma, 2007